sabato 18 luglio 2009

Artedacor , giugno 2009

Cari amici è molto tempo che non scrivo. Tante cose sono cambiate nella mia vita. Mi faccio vivo per aggiornarvi su come stanno procedendo le attività del progetto Artedacor. Il testo è stato scritto da Thiago che è responsabile del progetto, io l’ho tradotto. Normalmente sono io che scrivo, ma questa volta ho voluto dare a lui la parola per raccontare quello che sta facendo, perchè è merito suo e di alcune persone che ci hanno aiutato se il progetto è un punto di riferimento per tutta la comunità della Mangueira. Thiago ha cominciato a insegnare musica a ragazzini “difficili” e poi ha scoperto che la musica era lo strumento per costruire una relazione educativa. Negli ultimi mesi sono successe due cose straordinarie. Vedendo la serietà e l’interesse autentico di Thiago per il bene dei ragazzi i genitori hanno cominciato ad avvicinarsi e collaborare. Inoltre vedendo che il progetto di Thiago, se pur piccolo funzionava e non era una facciata per altri interessi, vari adulti significativi della comunità non legati al narcotraffico si stanno unendo a lui e già hanno trovato un nome per il loro gruppo che è “Noi facciamo la differenza”

Il progetto Artedacor funziona, è cresciuto con due piccoli progetti di calcio e di ginnastica per anziani, noi abbiamo comprato solo gli strumenti. Abbiamo in cantiere altre piccole iniziative, ma ora lascio la parola a Thiago. Il suo testo è lungo, ma spero interessante.

Mauro

Progetto Artedacor

giugno 2009

Sono le 10.40 di un venerdì. Mentre scrivo queste righe sento una fitta sparatoria: molti poliziotti sono entrati nella mia comunitá, la favela della Mangueira -nella zona nord di Rio- e sparano. Quando accade, tutti abbiamo paura e ci buttiamo per terra perchè le pallottole possono entrare nelle case. La sparatoria cessa. Posso riprendere a scrivere e a concentrarmi.

Voglio raccontare un anno e quattro mesi del Progetto Artedacor. E’ parecchio che non ne do notizia. Molti mi chiedono come si sta sviluppando il progetto. Come posso raccontarvi ciò che è successo in tutto questo tempo? sorrisi, miglioramenti, successi ma anche lacrime e delusioni. Prima di incominciare, mi piacerebbe parlare un po’ di me e della mia esperienza nei due mondi in cui vivo. Due mondi, si perché, come dice una canzone della Mangueira scritta per il carnevale, ci sono due Rio de Janeiro una a nord e una a sud : “di lá” lusso e ricchezza, nella Rio “di qua” immondizie e povertà>. Due mondi molto differenti che vivono accostati, accavallati, compenetrati, ma con una divisione culturale profonda. Divisione che sento dentro di me, perché con il mio lavoro partecipo tutti i giorni di questi “due mondi” e non riesco a capire come ancora non sono diventato matto. Non é facile!

Alla mattina a volte mi capita di far colazione con una coppia di turisti nel bar piú caro della cittá mentre a casa mia non c´é nemmeno un pezzo di pane da mangiare. Mia madre, che vive alla Mangueira, mi dice sempre di stare attento quando con amici e persone europee vado nella zona sud della città, quella dove vivono le classi media e alta. Mia madre è convinta che tutti quelli che possiedono un po’ di denaro possono fare ciò che vogliono. Lei teme che se le persone benestanti che io frequento compiono qualcosa di illegale, sarò io ad andare in prigione mentre loro non ci andranno affatto perché i figli dei ricchi non vanno in galera. Ho conosciuto persone della zona sud che mai verranno nella zona nord di Rio perché convinte che chiunque vive in favela non ha voglia di far niente, che tutti i ragazzi e i giovani non hanno voglia di studiare e che diventeranno dei banditi.

Questi discorsi di pregiudizio reciproco li ho sentiti molte volte e purtroppo spesso sono sottolineati e rafforzati dai giornali, dalla televisione, che riportano solo notizie negative di persone di favela che rubano, che sono degli emarginati e compiono solo il male. Ma anche la favela, pur sembrando una realtà distante e a sé, non è rimasta fuori dal fenomeno della globalizzazione: qualsiasi prodotto commerciale vi è entrato accendendo il desiderio. La televisione mostra in modo chiaro cosa siano lusso e ricchezza e cosa siano immondizia e povertá. Desiderio e volontà di possedere scarpe e vestiti firmati invadono la testa di ragazzi e giovani che vivono in famiglie smembrate e i cui genitori non hanno mai posseduto nulla. Questi sono i ragazzi con cui lavoro nel progetto. Possono non andare a scuola, ma hanno il desiderio di un paio di scarpe alla moda tanto quanto i ragazzi della Rio medio-alta.

Quando ho cominciato il progetto Artedacor, insegnando musica, sapevo che avrei incontrato molti problemi di relazionamento coi ragazzi, soprattutto perché molti di loro vivono senza regole e non sanno cosa sia il rispetto. Pensate che uno di loro era minacciato di morte perchè aveva rubato in una casa della favela ed era stato scoperto. La legge è chiara per tutti: in favela non si ruba. I banditi che governano in modo assoluto la favela gli avevano detto che gli avrebbero tagliato le mani se lo avessero scoperto a rubare di nuovo.

Molte persone mi avevano avvertito che non sarei riuscito ad insegnare musica con la presenza di simili ragazzini problematici nel progetto, tutto il gruppo ne avrebbe sofferto e il progetto sarebbe fallito. Nemmeno i loro genitori credevano nella possibilità di recuperali. Ma Artedacor era stato pensato proprio per questi ragazzi e io non volevo perderli, avevo già parlato con loro ma non sapevo come muovermi, cosa fare. In un primo momento, quando ho visto che creavano scompiglio e confusione, me li sono tenuti vicini incaricandoli di aiutarmi nella distribuzione della colazione, poi man mano ho affidato loro altre responsabilità e ad oggi ancora partecipano al progetto. L’ intuizione è stata vincente anche perchè l’ho usata con altri responsabilizzando ognuno di loro nel progetto. Col passare del tempo, sono stati addirittura loro stessi a dirmi cosa avrebbero potuto fare. Organizzano la pulizia del capannone, distribuiscono la colazione, dividono i gruppetti di apprendimento, i più grandi insegnano ai più piccoli, ecc. Il processo di responsabilizzazione è arrivato al punto che i più grandi hanno il compito di iniziare le attività nell’orario stabilito anche se io non sono presente. In questo modo ho potuto osservarli e capire come aiutare i più grandi nella loro relazione con i più piccoli. Davvero interessante.

La visita di amici e persone straniere alle loro lezioni è sempre un ottimo incentivo per proseguire le prove e quando tornano a casa si vantano di aver suonato per un pubblico straniero.

Altra azione importante è stata quella di organizzare delle piccole esibizioni fuori dalla comunità. Per migliorare la presentazione del gruppo dovevamo avere un cantante, per questo abbiamo comprato una cassa musicale ed io mi sono cimentato nel ruolo di cantante.

Tutto questo ha portato ad avere maggiore visibilità dentro la comunità, creando curiosità e interesse verso quello che stavamo facendo. Alcune madri mi hanno chiesto di introdurre le loro figliolette nel gruppo, per ballare. L’idea mi è piaciuta e anche se non avevamo le risorse abbiamo deciso che partecipassero lo stesso alle prove.

In questo modo si è sviluppata la relazione con le famiglie che mi ha portato a conoscere la situazione personale di ciascun ragazzo. Dopo qualche mese alcuni genitori mi hanno espresso la loro preoccupazione per l’abbandono in cui vivevano i ragazzi alla sera (vi ricordo che il progetto funzionava il sabato e la domenica dalle 10 alle 12). Su questa segnalazione, alla sera ho cominciato a frequentare i vicoli della comunità e ho visto che a loro piace molto giocare a “la guerra di trafficanti”. Non sono scene dei film quelle che loro imitano nel gioco, ma storie di violenza e di morti ammazzati che spesso hanno visto con i loro occhi. Usano nomi di trafficanti famosi e un linguaggio che è tipico del bandito. Spesso -quando percepivano la mia presenza- nascondevano le armi di legno, si vergognavano o avevano paura che poi io li avrei allontanati dal progetto. Non era certo ciò che volevo ma d’altra parte non potevo fingere e far finta di nulla. Un ragazzino mi ha mostrato persino la pistola che lo zio gli aveva regalato. Ho capito che “i miei alunni” avevano bisogno di molto di più che una scuola di musica, quella non bastava ed io ero disposto ad accompagnarli e a dare il massimo di attenzione possibile. Ho cercato maggiore collaborazione dai genitori dicendo che avremmo potuto usare il progetto come strumento per motivare i ragazzi a frequentare la scuola e a comportarsi bene in casa.

Sapevo che il lavoro che stavo facendo era molto buono, ma non avevo tempo per organizzare, stendere delle relazioni, fare delle schede. Ero da solo, dovevo pensare alla mia famiglia , stavo cercando lavoro perchè i pochi soldi del progetto non mi erano sufficienti per vivere. Poi sono arrivate delle volontarie italiane: Eleonora, Paola e Monica e di un volontario tedesco, Michael. Loro mi hanno aiutato a fare quello che sempre desideravo. In un mese e mezzo siamo riusciti a fare la schedatura di tutti i ragazzi, visitare le loro famiglie e conoscere la reale situazione. Siamo riusciti ad ottenere documenti di identità per alcuni ragazzi e l’iscrizione alla scuola per quelli che non stavano studiando.

Abbiamo dato maggior attenzione ai più grandi, quelli che sono più a rischio di cadere nella rete del narcotraffico e abbiamo deciso di responsabilizzarli e incentivarli. Non sappiamo fino a quando riusciremo a tenerli con noi anche perchè le famiglie sono poverissime e fanno pressione sui figli affinché si adoperino per racimolare qualche soldo e, in queste condizioni indigenti, non importa sapere come e da dove arriva il denaro. Purtroppo la via più facile di guadagno sembra rimanere sempre: il narcotraffico. Molti di loro non hanno terminato la scuola dell’obbligo ed hanno difficoltà a leggere e a scrivere.

Abbiamo cercato di allargare la loro visione del mondo e il loro modo di comportarsi in pubblico. Per premiarli li abbiamo portati al McDonald che non conoscevano e i più grandi li abbiamo portati in pizzeria. Il contatto con le famiglie ha portato ad avere maggiori informazioni su tipi di scuole e corsi che si possono frequentare. Siamo riusciti ad iscrivere due ragazzini ad un corso di inglese. Due professori sono venuti a visitarci e si sono offerti per aiutarci, speriamo che arrivino altre persone a fare lo stesso.

Da tempo un professore di educazione fisica appena laureato e un giovane calciatore professionista si erano offerti di dare una mano. Finalmente nel mese di maggio abbiamo iniziato un progetto di calcio per 60 ragazzi. L’idea è di organizzare un campionato dentro la comunità, facendo partecipare tutte le zone della favela ( ricordo che nella Mangueira ci vivono circa cinquantamila personei). Abbiamo una professoressa di danza che si è resa disponibile per dare lezioni alle ragazzine che già stanno con noi. Siamo intenzionati a inserire lezioni di capoeira e di teatro e i maestri già ci sono. Queste persone sanno bene che non abbiamo soldi per poter dare loro un aiuto economico ma si sono rese disponibili a cominciare il progetto con i ragazzi. Io sono cauto perchè loro sono professionisti e anche se disponibili e motivati non mi possono assicurare la continuità della loro presenza in quanto io non posso garantire una remunerazione. Sò molto bene che è difficile lavorare con l’incertezza di uno stipendio, è la mia stessa situazione.

Per quanto mi riguarda la vita continuo come sempre, vivo nella casa della mamma, sopravvivo con il contributo del progetto e do qualche lezione di danza a volontari stranieri. Non posso lamentarmi, credo nel mio potenziale e nelle mie capacità. Vi devo raccontare però una cosa accaduta che mi ha fatto male. Alcuni amici mi avevano offerto la possibilità di andare negli Stati Uniti per tre mesi. Non stavo nella pelle dalla contentezza e ho fatto tutti i documenti necessari. Quando sono andato al consolato, non hanno neanche guardato i documenti, ma mi hanno chiesto dove vivo, se possiedo una casa o un appartamento, se possiedo una macchina, quanto prendo di salario....... Non avendo niente di tutto questo il mio visto è stato negato perchè hanno detto che non avevo nessun vincolo con il mio paese. Detto in altra maniera, vuol dire che sono povero e non ho nessun bene materiale in Brasile e quini posso essere un immigrante illegale. Ho superato il trauma dicendomi che Dio sa quello che fa.

Mentre termino di scrivere anche la guerra alla Mangueira è finita. Le notizie corrono veloci. La polizia ha sequestrato due tonnellate di mariujana e ha ammazzato un giovane di 20 anni che conoscevo. E’ difficile capire tutto questo.

Thiago

Per chi vuole appoggiare il progetto Artedacor può mandare il contributo alla Associazione Macondo con la causale

Versamento sul conto di Associazione Macondo Onlus

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Causale: Artedacor Brasile, Erogazione liberale

Per chi vuole scrivere a Thiago, la sua email : thiago0202sp@hotmail.com

Per parlare con Thiago su Skype: thiaguinho_da_mangueira


martedì 10 marzo 2009

Oggi non ho più di questi sogni

Lettera tradotta tratta da http://www.adistaonline.it
alla fine il testo in portoghese.

“OGGI NON HO PIÙ DI QUESTI SOGNI”, DICE IL CARDINALE
di Pedro Casaldáliga

Il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, biblista, già arcivescovo di Milano e mio collega di Parkinson, è un ecclesiastico di dialogo, di accoglienza, di rinnovamento profondo, tanto della Chiesa come della società. Nel suo libro di confidenze e confessioni “Colloqui notturni a Gerusalemme”, dichiara: “Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni”. Questa affermazione categorica di Martini non è, non può essere, una dichiarazione di fallimento, di delusione ecclesiale, di rinuncia all’utopia delle utopie, un sogno dello stesso Dio.
Lui e milioni di persone nella Chiesa sognano un’“altra Chiesa possibile”, al servizio dell’“altro Mondo possibile”. E il cardinale Martini è un buon testimone e una buona guida in questo cammino alternativo. Lo ha dimostrato.
Tanto nella Chiesa (nella Chiesa di Gesù che sono varie le Chiese) come nella società (che sono vari popoli, varie culture, vari processi storici) oggi più che mai dobbiamo radicalizzare la ricerca della giustizia e della pace, della dignità umana e dell’uguaglianza nell’alterità, del vero progresso nell’ecologia profonda. E, come dice Bobbio, “bisogna impiantare la libertà nel cuore stesso dell’uguaglianza”; oggi con una visione ed un’azione di dimensioni mondiali. È l’altra globalizzazione, quella che rivendicano i nostri pensatori, i nostri militanti, i nostri martiri, i nostri affamati…
La grande crisi economica attuale è una crisi globale di Umanità che non si risolverà con nessun tipo di capitalismo, perché non esiste un capitalismo umano: il capitalismo continua ad essere omicida, ecocida, suicida. Non c’è modo di servire simultaneamente il dio delle banche e il Dio della Vita, di coniugare la prepotenza e l’usura con la convivenza fraterna. La questione fondamentale è: si tratta di salvare il Sistema o si tratta di salvare l’Umanità? A grande crisi, grande opportunità. In cinese la parola crisi ha due significati: crisi come pericolo, crisi come opportunità.
Nella campagna elettorale degli Stati Uniti è stato richiamato ripetutamente “il sogno di Luther King”, per attualizzarlo; e in occasione dei 50 anni della convocazione del Vaticano II, è stato ricordato con nostalgia il “Patto delle Catacombe” della Chiesa serva e povera (v. Adista n. 21/09, ndt). Il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, 40 padri conciliari hanno celebrato l’Eucarestia nelle catacombe romane di Domitilla e hanno sottoscritto il “Patto delle Catacombe”. Dom Helder Câmara, il cui centenario della nascita stiamo celebrando que-st’anno, era uno dei principali animatori del gruppo profetico. Il “Patto”, nei suoi 13 punti, insiste sulla povertà evangelica della Chiesa, sul rifiuto di titoli onorifici, di privilegi e ostentazioni mondane; insiste sulla collegialità e la corresponsabilità della Chiesa come Popolo di Dio, sull’apertura al mondo e sull’accoglienza fraterna.
Oggi noi, nella convulsa congiuntura attuale, professiamo la validità di molti sogni, sociali, politici, ecclesiali, ai quali in nessun modo possiamo rinunciare. Continuiamo a rifiutare il capitalismo neoliberista, il neoimperialismo del denaro e delle armi, un’economia di mercato e di consumo che seppellisce nella povertà e nella fame la grande maggioranza dell’Umanità. E continueremo a rifiutare ogni discriminazione per motivi di genere, di cultura, di razza. Esigiamo la trasformazione sostanziale degli organismi mondiali (Onu, Fmi, Banca Mondiale, Omc...). Ci impegniamo a vivere una “ecologia profonda e integrale”, propiziando una politica agraria-agricola alternativa alla politica predatoria del latifondo, della monocultura, dei fertilizzanti tossici. Parteciperemo alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche per una democrazia ad “alta intensità”.
Come Chiesa vogliamo vivere, alla luce del Vangelo, la passione ossessiva di Gesù, il Regno. Vogliamo essere Chiesa dell’opzione per i poveri, comunità ecumenica e anche macroecumenica. Il Dio nel quale crediamo, l’Abbà di Gesù, non può essere in nessun modo causa di fondamentalismi, di esclusioni, di inclusioni fagocitanti, di orgoglio proselitista. Smettiamola di fare del nostro Dio l’unico vero Dio. “Mio Dio, mi lasci vedere Dio?”. Con tutto il rispetto per l’opinione di papa Benedetto XVI, il dialogo interreligioso non solo è possibile, è necessario.
Faremo della corresponsabilità ecclesiale l’espressione legittima di una fede adulta. Esigeremo, correggendo secoli di discriminazione, la piena uguaglianza della donna nella vita e nei ministeri della Chiesa. Favoriremo la libertà e il servizio riconosciuto dei nostri teologi e teologhe.
La Chiesa sarà una rete di comunità oranti, serve, profetiche, testimoni della Buona Novella: una Buona Novella di vita, di libertà, di comunione felice. Una Buona Novella di misericordia, accoglienza, perdono, tenerezza; samaritana al fianco di tutti i cammini dell’Umanità. Continueremo a fare in modo che viva nella prassi ecclesiale l’avvertimento di Gesù: “Non sarà così fra di voi” (Mt 21,26). L’autorità sia servizio. Il Vaticano smetterà di essere Stato e il papa non sarà più capo di Stato. La Curia dovrà essere profondamente riformata e le Chiese locali coltiveranno l’inculturazione del Vangelo e la ministerialità condivisa. La Chiesa si impegnerà senza paura, senza evasioni, nelle grandi cause della giustizia e della pace, dei diritti umani e dell’uguaglianza riconosciuta di tutti i popoli. Sarà profezia di annuncio, di denuncia, di consolazione. La politica vissuta da tutti i cristiani e le cristiane sarà l’“espressone più alta dell’amore fraterno” (Pio XI).
Ci rifiutiamo di rinunciare a questi sogni per quanto possano apparire chimera. “Ancora cantiamo, ancora sogniamo”. Atteniamoci alla parola di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Con umiltà e coraggio, seguendo Gesù, cercheremo di vivere questi sogni nel quotidiano delle nostre vite. Continuerà ad esserci crisi e l’Umanità, con le sue religioni e le sue Chiese, continuerà ad essere santa e peccatrice. Ma non mancheranno le campagne universali di solidarietà, i forum sociali, le Vie Campesine, i Movimenti popolari, le conquiste dei Senza Terra, i patti ecologici, i cammini alternativi della Nostra America, le Comunità ecclesiali di base, i processi di riconciliazione fra Shalom e Salam, le vittorie indigene ed afro; e comunque, una volta di più e sempre “io mi attengo a quanto detto: la Speranza”.
Ognuno e ognuna delle persone cui giunge questa lettera circolare fraterna, in comunione di fede religiosa o di passione umana, riceva un abbraccio a misura di questi sogni. Noi vecchi abbiamo ancora visioni, dice la Bibbia (Gioele 3,1). Qualche giorno fa ho letto questa definizione: “La vecchiaia è una specie di dopoguerra”; non necessariamente un claudicamento. Il Parkinson è solo un incidente di percorso, e continuiamo con il Regno dentro.





«HOJE NÃO TENHO MAIS ESSES SONHOS»,
diz o cardeal

O cardeal Carlo M. Martini, jesuíta, biblista, arcebispo que foi de Milan e colega meu de Parkinson, é um eclesiástico de diálogo, de acolhida, de renovação a fundo, tanto na Igreja como na Sociedade. Em seu livro de confidências e confissões Colóquios noturnos em Jerusalém, declara: «Antes eu tinha sonhos acerca da Igreja. Sonhava com uma Igreja que percorre seu caminho na pobreza e na humildade, que não depende dos poderes deste mundo; na qual se extirpasse pela raiz a desconfiança; que desse espaço às pessoas que pensem com mais amplidão; que desse ânimos, especialmente, àqueles que se sentem pequenos o pecadores. Sonhava com uma Igreja jovem. Hoje não tenho mais esses sonhos». Esta afirmação categórica de Martini não é, não pode ser, uma declaração de fracasso, de decepção eclesial, de renúncia à utopia. Martini continua sonhando nada menos que com o Reino, que é a utopia das utopias, um sonho do próprio Deus.
Ele e milhões de pessoas na Igreja sonhamos com a «outra Igreja possível», ao serviço do «outro Mundo possível». E o cardeal Martini é uma boa testemunha e um bom guia nesse caminho alternativo; o tem demonstrado.
Tanto na Igreja (na Igreja de Jesus que são várias Igrejas) como na Sociedade (que são vários povos, várias culturas, vários processos históricos) hoje mais do que nunca devemos radicalizar na procura da justiça e da paz, da dignidade humana e da igualdade na alteridade, do verdadeiro progresso dentro da ecologia profunda. E, como diz Bobbio, «é preciso instalar a liberdade no coração mesmo da igualdade»; hoje com uma visão e uma ação estritamente mundiais. É a outra globalização, a que reivindicam nossos pensadores, nossos militantes, nossos mártires, nossos famintos...
A grande crise econômica atual é uma crise global de Humanidade que não se resolverá com nenhum tipo de capitalismo, porque não é possível um capitalismo humano; o capitalismo continua a ser homicida, ecocida, suicida. Não há modo de servir simultaneamente ao deus dos bancos e ao Deus da Vida, conjugar a prepotência e a usura com a convivência fraterna. A questão axial é: Trata-se de salvar o Sistema ou se trata de salvar à Humanidade? A grandes crises, grandes oportunidades. No idioma chinês a palavra crise se desdobra em dois sentidos: crise como perigo, crise como oportunidade.
Na campanha eleitoral dos EUA se arvorou repetidamente «o sonho de Luther King», querendo atualizar esse sonho; e, por ocasião dos 50 anos da convocatória do Vaticano II, tem-se recordado, com saudade, o Pacto das Catacumbas da Igreja serva e pobre. No dia 16 de novembro de 1965, poucos dias antes da clausura do Concílio, 40 Padres Conciliares celebraram a Eucaristia nas catacumbas romanas de Domitila, e firmaram o Pacto das Catacumbas. Dom Hélder Câmara, cujo centenário de nascimento estamos celebrando neste ano, era um dos principais animadores do grupo profético. O Pacto em seus 13 pontos insiste na pobreza evangélica da Igreja, sem títulos honoríficos, sem privilégios e sem ostentações mundanas; insiste na colegialidade e na corresponsabilidade da Igreja como Povo de Deus e na abertura ao mundo e na acolhida fraterna.
Hoje, nós, na convulsa conjuntura atual, professamos a vigência de muitos sonhos, sociais, políticos, eclesiais, aos quais de jeito nenhum podemos renunciar. Seguimos rechaçando o capitalismo neoliberal, o neoimperialismo do dinheiro e das armas, uma economia de mercado e de consumismo que sepulta na pobreza e na fome a uma grande maioria da Humanidade. E seguiremos rechaçando toda discriminação por motivos de gênero, de cultura, de raça. Exigimos a transformação substancial dos organismos mundiais (a ONU, o FMI, o Banco Mundial, a OMC...). Comprometemo-nos a vivermos uma «ecologia profunda e integral», propiciando uma política agrária-agrícola alternativa à política depredadora do latifúndio, da monocultura, do agrotóxico. Participaremos nas transformações sociais, políticas e econômicas, para uma democracia de «alta intensidade».
Como Igreja queremos viver, à luz do Evangelho, a paixão obsessiva de Jesus, o Reino. Queremos ser Igreja da opção pelos pobres, comunidade ecumênica e macroecumênica também. O Deus em quem acreditamos, o Abbá de Jesus, não pode ser de jeito nenhum causa de fundamentalismos, de exclusões, de inclusões absorventes, de orgulho proselitista. Chega de fazermos do nosso Deus o único Deus verdadeiro. «Meu Deus, me deixa ver a Deus?». Com todo respeito pela opinião do Papa Bento XVI, o diálogo interreligioso não somente é possível, é necessário. Faremos da corresponsabilidade eclesial a expressão legítima de uma fé adulta. Exigiremos, corrigindo séculos de discriminação, a plena igualdade da mulher na vida e nos ministérios da Igreja. Estimularemos a liberdade e o serviço reconhecido de nossos teólogos e teólogas. A Igreja será uma rede de comunidades orantes, servidoras, proféticas, testemunhas da Boa Nova: uma Boa Nova de vida, de liberdade, de comunhão feliz. Uma Boa Nova de misericórdia, de acolhida, de perdão, de ternura, samaritana à beira de todos os caminhos da Humanidade. Seguiremos fazendo que se viva na prática eclesial a advertência de Jesus: «Não será assim entre vocês» (Mt 21,26). Seja a autoridade serviço. O Vaticano deixará de ser Estado e o Papa não será mais chefe de Estado. A Cúria terá de ser profundamente reformada e as Igrejas locais cultivarão a inculturação do Evangelho e a ministerialidade compartilhada. A Igreja se comprometerá, sem medo, sem evasões, com as grandes causas de justiça e da paz, dos direitos humanos e da igualdade reconhecida de todos os povos. Será profecia de anuncio, de denúncia, de consolação. A política vivida por todos os cristãos e cristãs será aquela «expressão mais alta do amor fraterno» (Pio XI).
Nós nos negamos a renunciar a estes sonhos mesmo quando possam parecer quimera. «Ainda cantamos, ainda sonhamos». Nós nos atemos à palavra de Jesus: «Fogo vim trazer à Terra; e que mais posso querer senão que arda» (Lc 12,49). Com humildade e coragem, no seguimento de Jesus, tentaremos viver estes sonhos no dia a dia de nossas vidas. Seguirá havendo crises e a Humanidade, com suas religiões e suas Igrejas, seguirá sendo santa e pecadora. Mas não faltarão as campanhas universais de solidariedade, os Foros Sociais, as Vias Campesinas, os movimentos populares, as conquistas dos Sem Terra, os pactos ecológicos, os caminhos alternativos da Nossa América, as Comunidades Eclesiais de Base, os processos de reconciliação entre o Shalom e o Salam, as vitórias indígenas e afro e, em todo o caso, mais uma vez e sempre, «eu me atenho ao dito: a Esperança».
Cada um e cada uma a quem possa chegar esta circular fraterna, em comunhão de fé religiosa ou de paixão humana, receba um abraço do tamanho destes sonhos. Os velhos ainda temos visões, diz a Bíblia (Jl 3,1). Li nestes dias esta definição: «A velhice é uma espécie de postguerra»; não precisamente de claudicação. O Parkinson é apenas um percalço do caminho e seguimos Reino adentro.

Pedro CasaldáligaCircular 2009