sabato 18 luglio 2009

Artedacor , giugno 2009

Cari amici è molto tempo che non scrivo. Tante cose sono cambiate nella mia vita. Mi faccio vivo per aggiornarvi su come stanno procedendo le attività del progetto Artedacor. Il testo è stato scritto da Thiago che è responsabile del progetto, io l’ho tradotto. Normalmente sono io che scrivo, ma questa volta ho voluto dare a lui la parola per raccontare quello che sta facendo, perchè è merito suo e di alcune persone che ci hanno aiutato se il progetto è un punto di riferimento per tutta la comunità della Mangueira. Thiago ha cominciato a insegnare musica a ragazzini “difficili” e poi ha scoperto che la musica era lo strumento per costruire una relazione educativa. Negli ultimi mesi sono successe due cose straordinarie. Vedendo la serietà e l’interesse autentico di Thiago per il bene dei ragazzi i genitori hanno cominciato ad avvicinarsi e collaborare. Inoltre vedendo che il progetto di Thiago, se pur piccolo funzionava e non era una facciata per altri interessi, vari adulti significativi della comunità non legati al narcotraffico si stanno unendo a lui e già hanno trovato un nome per il loro gruppo che è “Noi facciamo la differenza”

Il progetto Artedacor funziona, è cresciuto con due piccoli progetti di calcio e di ginnastica per anziani, noi abbiamo comprato solo gli strumenti. Abbiamo in cantiere altre piccole iniziative, ma ora lascio la parola a Thiago. Il suo testo è lungo, ma spero interessante.

Mauro

Progetto Artedacor

giugno 2009

Sono le 10.40 di un venerdì. Mentre scrivo queste righe sento una fitta sparatoria: molti poliziotti sono entrati nella mia comunitá, la favela della Mangueira -nella zona nord di Rio- e sparano. Quando accade, tutti abbiamo paura e ci buttiamo per terra perchè le pallottole possono entrare nelle case. La sparatoria cessa. Posso riprendere a scrivere e a concentrarmi.

Voglio raccontare un anno e quattro mesi del Progetto Artedacor. E’ parecchio che non ne do notizia. Molti mi chiedono come si sta sviluppando il progetto. Come posso raccontarvi ciò che è successo in tutto questo tempo? sorrisi, miglioramenti, successi ma anche lacrime e delusioni. Prima di incominciare, mi piacerebbe parlare un po’ di me e della mia esperienza nei due mondi in cui vivo. Due mondi, si perché, come dice una canzone della Mangueira scritta per il carnevale, ci sono due Rio de Janeiro una a nord e una a sud : “di lá” lusso e ricchezza, nella Rio “di qua” immondizie e povertà>. Due mondi molto differenti che vivono accostati, accavallati, compenetrati, ma con una divisione culturale profonda. Divisione che sento dentro di me, perché con il mio lavoro partecipo tutti i giorni di questi “due mondi” e non riesco a capire come ancora non sono diventato matto. Non é facile!

Alla mattina a volte mi capita di far colazione con una coppia di turisti nel bar piú caro della cittá mentre a casa mia non c´é nemmeno un pezzo di pane da mangiare. Mia madre, che vive alla Mangueira, mi dice sempre di stare attento quando con amici e persone europee vado nella zona sud della città, quella dove vivono le classi media e alta. Mia madre è convinta che tutti quelli che possiedono un po’ di denaro possono fare ciò che vogliono. Lei teme che se le persone benestanti che io frequento compiono qualcosa di illegale, sarò io ad andare in prigione mentre loro non ci andranno affatto perché i figli dei ricchi non vanno in galera. Ho conosciuto persone della zona sud che mai verranno nella zona nord di Rio perché convinte che chiunque vive in favela non ha voglia di far niente, che tutti i ragazzi e i giovani non hanno voglia di studiare e che diventeranno dei banditi.

Questi discorsi di pregiudizio reciproco li ho sentiti molte volte e purtroppo spesso sono sottolineati e rafforzati dai giornali, dalla televisione, che riportano solo notizie negative di persone di favela che rubano, che sono degli emarginati e compiono solo il male. Ma anche la favela, pur sembrando una realtà distante e a sé, non è rimasta fuori dal fenomeno della globalizzazione: qualsiasi prodotto commerciale vi è entrato accendendo il desiderio. La televisione mostra in modo chiaro cosa siano lusso e ricchezza e cosa siano immondizia e povertá. Desiderio e volontà di possedere scarpe e vestiti firmati invadono la testa di ragazzi e giovani che vivono in famiglie smembrate e i cui genitori non hanno mai posseduto nulla. Questi sono i ragazzi con cui lavoro nel progetto. Possono non andare a scuola, ma hanno il desiderio di un paio di scarpe alla moda tanto quanto i ragazzi della Rio medio-alta.

Quando ho cominciato il progetto Artedacor, insegnando musica, sapevo che avrei incontrato molti problemi di relazionamento coi ragazzi, soprattutto perché molti di loro vivono senza regole e non sanno cosa sia il rispetto. Pensate che uno di loro era minacciato di morte perchè aveva rubato in una casa della favela ed era stato scoperto. La legge è chiara per tutti: in favela non si ruba. I banditi che governano in modo assoluto la favela gli avevano detto che gli avrebbero tagliato le mani se lo avessero scoperto a rubare di nuovo.

Molte persone mi avevano avvertito che non sarei riuscito ad insegnare musica con la presenza di simili ragazzini problematici nel progetto, tutto il gruppo ne avrebbe sofferto e il progetto sarebbe fallito. Nemmeno i loro genitori credevano nella possibilità di recuperali. Ma Artedacor era stato pensato proprio per questi ragazzi e io non volevo perderli, avevo già parlato con loro ma non sapevo come muovermi, cosa fare. In un primo momento, quando ho visto che creavano scompiglio e confusione, me li sono tenuti vicini incaricandoli di aiutarmi nella distribuzione della colazione, poi man mano ho affidato loro altre responsabilità e ad oggi ancora partecipano al progetto. L’ intuizione è stata vincente anche perchè l’ho usata con altri responsabilizzando ognuno di loro nel progetto. Col passare del tempo, sono stati addirittura loro stessi a dirmi cosa avrebbero potuto fare. Organizzano la pulizia del capannone, distribuiscono la colazione, dividono i gruppetti di apprendimento, i più grandi insegnano ai più piccoli, ecc. Il processo di responsabilizzazione è arrivato al punto che i più grandi hanno il compito di iniziare le attività nell’orario stabilito anche se io non sono presente. In questo modo ho potuto osservarli e capire come aiutare i più grandi nella loro relazione con i più piccoli. Davvero interessante.

La visita di amici e persone straniere alle loro lezioni è sempre un ottimo incentivo per proseguire le prove e quando tornano a casa si vantano di aver suonato per un pubblico straniero.

Altra azione importante è stata quella di organizzare delle piccole esibizioni fuori dalla comunità. Per migliorare la presentazione del gruppo dovevamo avere un cantante, per questo abbiamo comprato una cassa musicale ed io mi sono cimentato nel ruolo di cantante.

Tutto questo ha portato ad avere maggiore visibilità dentro la comunità, creando curiosità e interesse verso quello che stavamo facendo. Alcune madri mi hanno chiesto di introdurre le loro figliolette nel gruppo, per ballare. L’idea mi è piaciuta e anche se non avevamo le risorse abbiamo deciso che partecipassero lo stesso alle prove.

In questo modo si è sviluppata la relazione con le famiglie che mi ha portato a conoscere la situazione personale di ciascun ragazzo. Dopo qualche mese alcuni genitori mi hanno espresso la loro preoccupazione per l’abbandono in cui vivevano i ragazzi alla sera (vi ricordo che il progetto funzionava il sabato e la domenica dalle 10 alle 12). Su questa segnalazione, alla sera ho cominciato a frequentare i vicoli della comunità e ho visto che a loro piace molto giocare a “la guerra di trafficanti”. Non sono scene dei film quelle che loro imitano nel gioco, ma storie di violenza e di morti ammazzati che spesso hanno visto con i loro occhi. Usano nomi di trafficanti famosi e un linguaggio che è tipico del bandito. Spesso -quando percepivano la mia presenza- nascondevano le armi di legno, si vergognavano o avevano paura che poi io li avrei allontanati dal progetto. Non era certo ciò che volevo ma d’altra parte non potevo fingere e far finta di nulla. Un ragazzino mi ha mostrato persino la pistola che lo zio gli aveva regalato. Ho capito che “i miei alunni” avevano bisogno di molto di più che una scuola di musica, quella non bastava ed io ero disposto ad accompagnarli e a dare il massimo di attenzione possibile. Ho cercato maggiore collaborazione dai genitori dicendo che avremmo potuto usare il progetto come strumento per motivare i ragazzi a frequentare la scuola e a comportarsi bene in casa.

Sapevo che il lavoro che stavo facendo era molto buono, ma non avevo tempo per organizzare, stendere delle relazioni, fare delle schede. Ero da solo, dovevo pensare alla mia famiglia , stavo cercando lavoro perchè i pochi soldi del progetto non mi erano sufficienti per vivere. Poi sono arrivate delle volontarie italiane: Eleonora, Paola e Monica e di un volontario tedesco, Michael. Loro mi hanno aiutato a fare quello che sempre desideravo. In un mese e mezzo siamo riusciti a fare la schedatura di tutti i ragazzi, visitare le loro famiglie e conoscere la reale situazione. Siamo riusciti ad ottenere documenti di identità per alcuni ragazzi e l’iscrizione alla scuola per quelli che non stavano studiando.

Abbiamo dato maggior attenzione ai più grandi, quelli che sono più a rischio di cadere nella rete del narcotraffico e abbiamo deciso di responsabilizzarli e incentivarli. Non sappiamo fino a quando riusciremo a tenerli con noi anche perchè le famiglie sono poverissime e fanno pressione sui figli affinché si adoperino per racimolare qualche soldo e, in queste condizioni indigenti, non importa sapere come e da dove arriva il denaro. Purtroppo la via più facile di guadagno sembra rimanere sempre: il narcotraffico. Molti di loro non hanno terminato la scuola dell’obbligo ed hanno difficoltà a leggere e a scrivere.

Abbiamo cercato di allargare la loro visione del mondo e il loro modo di comportarsi in pubblico. Per premiarli li abbiamo portati al McDonald che non conoscevano e i più grandi li abbiamo portati in pizzeria. Il contatto con le famiglie ha portato ad avere maggiori informazioni su tipi di scuole e corsi che si possono frequentare. Siamo riusciti ad iscrivere due ragazzini ad un corso di inglese. Due professori sono venuti a visitarci e si sono offerti per aiutarci, speriamo che arrivino altre persone a fare lo stesso.

Da tempo un professore di educazione fisica appena laureato e un giovane calciatore professionista si erano offerti di dare una mano. Finalmente nel mese di maggio abbiamo iniziato un progetto di calcio per 60 ragazzi. L’idea è di organizzare un campionato dentro la comunità, facendo partecipare tutte le zone della favela ( ricordo che nella Mangueira ci vivono circa cinquantamila personei). Abbiamo una professoressa di danza che si è resa disponibile per dare lezioni alle ragazzine che già stanno con noi. Siamo intenzionati a inserire lezioni di capoeira e di teatro e i maestri già ci sono. Queste persone sanno bene che non abbiamo soldi per poter dare loro un aiuto economico ma si sono rese disponibili a cominciare il progetto con i ragazzi. Io sono cauto perchè loro sono professionisti e anche se disponibili e motivati non mi possono assicurare la continuità della loro presenza in quanto io non posso garantire una remunerazione. Sò molto bene che è difficile lavorare con l’incertezza di uno stipendio, è la mia stessa situazione.

Per quanto mi riguarda la vita continuo come sempre, vivo nella casa della mamma, sopravvivo con il contributo del progetto e do qualche lezione di danza a volontari stranieri. Non posso lamentarmi, credo nel mio potenziale e nelle mie capacità. Vi devo raccontare però una cosa accaduta che mi ha fatto male. Alcuni amici mi avevano offerto la possibilità di andare negli Stati Uniti per tre mesi. Non stavo nella pelle dalla contentezza e ho fatto tutti i documenti necessari. Quando sono andato al consolato, non hanno neanche guardato i documenti, ma mi hanno chiesto dove vivo, se possiedo una casa o un appartamento, se possiedo una macchina, quanto prendo di salario....... Non avendo niente di tutto questo il mio visto è stato negato perchè hanno detto che non avevo nessun vincolo con il mio paese. Detto in altra maniera, vuol dire che sono povero e non ho nessun bene materiale in Brasile e quini posso essere un immigrante illegale. Ho superato il trauma dicendomi che Dio sa quello che fa.

Mentre termino di scrivere anche la guerra alla Mangueira è finita. Le notizie corrono veloci. La polizia ha sequestrato due tonnellate di mariujana e ha ammazzato un giovane di 20 anni che conoscevo. E’ difficile capire tutto questo.

Thiago

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Causale: Artedacor Brasile, Erogazione liberale

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