martedì 10 marzo 2009

Oggi non ho più di questi sogni

Lettera tradotta tratta da http://www.adistaonline.it
alla fine il testo in portoghese.

“OGGI NON HO PIÙ DI QUESTI SOGNI”, DICE IL CARDINALE
di Pedro Casaldáliga

Il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, biblista, già arcivescovo di Milano e mio collega di Parkinson, è un ecclesiastico di dialogo, di accoglienza, di rinnovamento profondo, tanto della Chiesa come della società. Nel suo libro di confidenze e confessioni “Colloqui notturni a Gerusalemme”, dichiara: “Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni”. Questa affermazione categorica di Martini non è, non può essere, una dichiarazione di fallimento, di delusione ecclesiale, di rinuncia all’utopia delle utopie, un sogno dello stesso Dio.
Lui e milioni di persone nella Chiesa sognano un’“altra Chiesa possibile”, al servizio dell’“altro Mondo possibile”. E il cardinale Martini è un buon testimone e una buona guida in questo cammino alternativo. Lo ha dimostrato.
Tanto nella Chiesa (nella Chiesa di Gesù che sono varie le Chiese) come nella società (che sono vari popoli, varie culture, vari processi storici) oggi più che mai dobbiamo radicalizzare la ricerca della giustizia e della pace, della dignità umana e dell’uguaglianza nell’alterità, del vero progresso nell’ecologia profonda. E, come dice Bobbio, “bisogna impiantare la libertà nel cuore stesso dell’uguaglianza”; oggi con una visione ed un’azione di dimensioni mondiali. È l’altra globalizzazione, quella che rivendicano i nostri pensatori, i nostri militanti, i nostri martiri, i nostri affamati…
La grande crisi economica attuale è una crisi globale di Umanità che non si risolverà con nessun tipo di capitalismo, perché non esiste un capitalismo umano: il capitalismo continua ad essere omicida, ecocida, suicida. Non c’è modo di servire simultaneamente il dio delle banche e il Dio della Vita, di coniugare la prepotenza e l’usura con la convivenza fraterna. La questione fondamentale è: si tratta di salvare il Sistema o si tratta di salvare l’Umanità? A grande crisi, grande opportunità. In cinese la parola crisi ha due significati: crisi come pericolo, crisi come opportunità.
Nella campagna elettorale degli Stati Uniti è stato richiamato ripetutamente “il sogno di Luther King”, per attualizzarlo; e in occasione dei 50 anni della convocazione del Vaticano II, è stato ricordato con nostalgia il “Patto delle Catacombe” della Chiesa serva e povera (v. Adista n. 21/09, ndt). Il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, 40 padri conciliari hanno celebrato l’Eucarestia nelle catacombe romane di Domitilla e hanno sottoscritto il “Patto delle Catacombe”. Dom Helder Câmara, il cui centenario della nascita stiamo celebrando que-st’anno, era uno dei principali animatori del gruppo profetico. Il “Patto”, nei suoi 13 punti, insiste sulla povertà evangelica della Chiesa, sul rifiuto di titoli onorifici, di privilegi e ostentazioni mondane; insiste sulla collegialità e la corresponsabilità della Chiesa come Popolo di Dio, sull’apertura al mondo e sull’accoglienza fraterna.
Oggi noi, nella convulsa congiuntura attuale, professiamo la validità di molti sogni, sociali, politici, ecclesiali, ai quali in nessun modo possiamo rinunciare. Continuiamo a rifiutare il capitalismo neoliberista, il neoimperialismo del denaro e delle armi, un’economia di mercato e di consumo che seppellisce nella povertà e nella fame la grande maggioranza dell’Umanità. E continueremo a rifiutare ogni discriminazione per motivi di genere, di cultura, di razza. Esigiamo la trasformazione sostanziale degli organismi mondiali (Onu, Fmi, Banca Mondiale, Omc...). Ci impegniamo a vivere una “ecologia profonda e integrale”, propiziando una politica agraria-agricola alternativa alla politica predatoria del latifondo, della monocultura, dei fertilizzanti tossici. Parteciperemo alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche per una democrazia ad “alta intensità”.
Come Chiesa vogliamo vivere, alla luce del Vangelo, la passione ossessiva di Gesù, il Regno. Vogliamo essere Chiesa dell’opzione per i poveri, comunità ecumenica e anche macroecumenica. Il Dio nel quale crediamo, l’Abbà di Gesù, non può essere in nessun modo causa di fondamentalismi, di esclusioni, di inclusioni fagocitanti, di orgoglio proselitista. Smettiamola di fare del nostro Dio l’unico vero Dio. “Mio Dio, mi lasci vedere Dio?”. Con tutto il rispetto per l’opinione di papa Benedetto XVI, il dialogo interreligioso non solo è possibile, è necessario.
Faremo della corresponsabilità ecclesiale l’espressione legittima di una fede adulta. Esigeremo, correggendo secoli di discriminazione, la piena uguaglianza della donna nella vita e nei ministeri della Chiesa. Favoriremo la libertà e il servizio riconosciuto dei nostri teologi e teologhe.
La Chiesa sarà una rete di comunità oranti, serve, profetiche, testimoni della Buona Novella: una Buona Novella di vita, di libertà, di comunione felice. Una Buona Novella di misericordia, accoglienza, perdono, tenerezza; samaritana al fianco di tutti i cammini dell’Umanità. Continueremo a fare in modo che viva nella prassi ecclesiale l’avvertimento di Gesù: “Non sarà così fra di voi” (Mt 21,26). L’autorità sia servizio. Il Vaticano smetterà di essere Stato e il papa non sarà più capo di Stato. La Curia dovrà essere profondamente riformata e le Chiese locali coltiveranno l’inculturazione del Vangelo e la ministerialità condivisa. La Chiesa si impegnerà senza paura, senza evasioni, nelle grandi cause della giustizia e della pace, dei diritti umani e dell’uguaglianza riconosciuta di tutti i popoli. Sarà profezia di annuncio, di denuncia, di consolazione. La politica vissuta da tutti i cristiani e le cristiane sarà l’“espressone più alta dell’amore fraterno” (Pio XI).
Ci rifiutiamo di rinunciare a questi sogni per quanto possano apparire chimera. “Ancora cantiamo, ancora sogniamo”. Atteniamoci alla parola di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Con umiltà e coraggio, seguendo Gesù, cercheremo di vivere questi sogni nel quotidiano delle nostre vite. Continuerà ad esserci crisi e l’Umanità, con le sue religioni e le sue Chiese, continuerà ad essere santa e peccatrice. Ma non mancheranno le campagne universali di solidarietà, i forum sociali, le Vie Campesine, i Movimenti popolari, le conquiste dei Senza Terra, i patti ecologici, i cammini alternativi della Nostra America, le Comunità ecclesiali di base, i processi di riconciliazione fra Shalom e Salam, le vittorie indigene ed afro; e comunque, una volta di più e sempre “io mi attengo a quanto detto: la Speranza”.
Ognuno e ognuna delle persone cui giunge questa lettera circolare fraterna, in comunione di fede religiosa o di passione umana, riceva un abbraccio a misura di questi sogni. Noi vecchi abbiamo ancora visioni, dice la Bibbia (Gioele 3,1). Qualche giorno fa ho letto questa definizione: “La vecchiaia è una specie di dopoguerra”; non necessariamente un claudicamento. Il Parkinson è solo un incidente di percorso, e continuiamo con il Regno dentro.





«HOJE NÃO TENHO MAIS ESSES SONHOS»,
diz o cardeal

O cardeal Carlo M. Martini, jesuíta, biblista, arcebispo que foi de Milan e colega meu de Parkinson, é um eclesiástico de diálogo, de acolhida, de renovação a fundo, tanto na Igreja como na Sociedade. Em seu livro de confidências e confissões Colóquios noturnos em Jerusalém, declara: «Antes eu tinha sonhos acerca da Igreja. Sonhava com uma Igreja que percorre seu caminho na pobreza e na humildade, que não depende dos poderes deste mundo; na qual se extirpasse pela raiz a desconfiança; que desse espaço às pessoas que pensem com mais amplidão; que desse ânimos, especialmente, àqueles que se sentem pequenos o pecadores. Sonhava com uma Igreja jovem. Hoje não tenho mais esses sonhos». Esta afirmação categórica de Martini não é, não pode ser, uma declaração de fracasso, de decepção eclesial, de renúncia à utopia. Martini continua sonhando nada menos que com o Reino, que é a utopia das utopias, um sonho do próprio Deus.
Ele e milhões de pessoas na Igreja sonhamos com a «outra Igreja possível», ao serviço do «outro Mundo possível». E o cardeal Martini é uma boa testemunha e um bom guia nesse caminho alternativo; o tem demonstrado.
Tanto na Igreja (na Igreja de Jesus que são várias Igrejas) como na Sociedade (que são vários povos, várias culturas, vários processos históricos) hoje mais do que nunca devemos radicalizar na procura da justiça e da paz, da dignidade humana e da igualdade na alteridade, do verdadeiro progresso dentro da ecologia profunda. E, como diz Bobbio, «é preciso instalar a liberdade no coração mesmo da igualdade»; hoje com uma visão e uma ação estritamente mundiais. É a outra globalização, a que reivindicam nossos pensadores, nossos militantes, nossos mártires, nossos famintos...
A grande crise econômica atual é uma crise global de Humanidade que não se resolverá com nenhum tipo de capitalismo, porque não é possível um capitalismo humano; o capitalismo continua a ser homicida, ecocida, suicida. Não há modo de servir simultaneamente ao deus dos bancos e ao Deus da Vida, conjugar a prepotência e a usura com a convivência fraterna. A questão axial é: Trata-se de salvar o Sistema ou se trata de salvar à Humanidade? A grandes crises, grandes oportunidades. No idioma chinês a palavra crise se desdobra em dois sentidos: crise como perigo, crise como oportunidade.
Na campanha eleitoral dos EUA se arvorou repetidamente «o sonho de Luther King», querendo atualizar esse sonho; e, por ocasião dos 50 anos da convocatória do Vaticano II, tem-se recordado, com saudade, o Pacto das Catacumbas da Igreja serva e pobre. No dia 16 de novembro de 1965, poucos dias antes da clausura do Concílio, 40 Padres Conciliares celebraram a Eucaristia nas catacumbas romanas de Domitila, e firmaram o Pacto das Catacumbas. Dom Hélder Câmara, cujo centenário de nascimento estamos celebrando neste ano, era um dos principais animadores do grupo profético. O Pacto em seus 13 pontos insiste na pobreza evangélica da Igreja, sem títulos honoríficos, sem privilégios e sem ostentações mundanas; insiste na colegialidade e na corresponsabilidade da Igreja como Povo de Deus e na abertura ao mundo e na acolhida fraterna.
Hoje, nós, na convulsa conjuntura atual, professamos a vigência de muitos sonhos, sociais, políticos, eclesiais, aos quais de jeito nenhum podemos renunciar. Seguimos rechaçando o capitalismo neoliberal, o neoimperialismo do dinheiro e das armas, uma economia de mercado e de consumismo que sepulta na pobreza e na fome a uma grande maioria da Humanidade. E seguiremos rechaçando toda discriminação por motivos de gênero, de cultura, de raça. Exigimos a transformação substancial dos organismos mundiais (a ONU, o FMI, o Banco Mundial, a OMC...). Comprometemo-nos a vivermos uma «ecologia profunda e integral», propiciando uma política agrária-agrícola alternativa à política depredadora do latifúndio, da monocultura, do agrotóxico. Participaremos nas transformações sociais, políticas e econômicas, para uma democracia de «alta intensidade».
Como Igreja queremos viver, à luz do Evangelho, a paixão obsessiva de Jesus, o Reino. Queremos ser Igreja da opção pelos pobres, comunidade ecumênica e macroecumênica também. O Deus em quem acreditamos, o Abbá de Jesus, não pode ser de jeito nenhum causa de fundamentalismos, de exclusões, de inclusões absorventes, de orgulho proselitista. Chega de fazermos do nosso Deus o único Deus verdadeiro. «Meu Deus, me deixa ver a Deus?». Com todo respeito pela opinião do Papa Bento XVI, o diálogo interreligioso não somente é possível, é necessário. Faremos da corresponsabilidade eclesial a expressão legítima de uma fé adulta. Exigiremos, corrigindo séculos de discriminação, a plena igualdade da mulher na vida e nos ministérios da Igreja. Estimularemos a liberdade e o serviço reconhecido de nossos teólogos e teólogas. A Igreja será uma rede de comunidades orantes, servidoras, proféticas, testemunhas da Boa Nova: uma Boa Nova de vida, de liberdade, de comunhão feliz. Uma Boa Nova de misericórdia, de acolhida, de perdão, de ternura, samaritana à beira de todos os caminhos da Humanidade. Seguiremos fazendo que se viva na prática eclesial a advertência de Jesus: «Não será assim entre vocês» (Mt 21,26). Seja a autoridade serviço. O Vaticano deixará de ser Estado e o Papa não será mais chefe de Estado. A Cúria terá de ser profundamente reformada e as Igrejas locais cultivarão a inculturação do Evangelho e a ministerialidade compartilhada. A Igreja se comprometerá, sem medo, sem evasões, com as grandes causas de justiça e da paz, dos direitos humanos e da igualdade reconhecida de todos os povos. Será profecia de anuncio, de denúncia, de consolação. A política vivida por todos os cristãos e cristãs será aquela «expressão mais alta do amor fraterno» (Pio XI).
Nós nos negamos a renunciar a estes sonhos mesmo quando possam parecer quimera. «Ainda cantamos, ainda sonhamos». Nós nos atemos à palavra de Jesus: «Fogo vim trazer à Terra; e que mais posso querer senão que arda» (Lc 12,49). Com humildade e coragem, no seguimento de Jesus, tentaremos viver estes sonhos no dia a dia de nossas vidas. Seguirá havendo crises e a Humanidade, com suas religiões e suas Igrejas, seguirá sendo santa e pecadora. Mas não faltarão as campanhas universais de solidariedade, os Foros Sociais, as Vias Campesinas, os movimentos populares, as conquistas dos Sem Terra, os pactos ecológicos, os caminhos alternativos da Nossa América, as Comunidades Eclesiais de Base, os processos de reconciliação entre o Shalom e o Salam, as vitórias indígenas e afro e, em todo o caso, mais uma vez e sempre, «eu me atenho ao dito: a Esperança».
Cada um e cada uma a quem possa chegar esta circular fraterna, em comunhão de fé religiosa ou de paixão humana, receba um abraço do tamanho destes sonhos. Os velhos ainda temos visões, diz a Bíblia (Jl 3,1). Li nestes dias esta definição: «A velhice é uma espécie de postguerra»; não precisamente de claudicação. O Parkinson é apenas um percalço do caminho e seguimos Reino adentro.

Pedro CasaldáligaCircular 2009